< Back to 68k.news IT front page

La fragile alleanza tra Xi e Putin

Original source (on modern site) | Article images: [1]

«Keep on Rockin' in the Free World», ha cantato il segretario di Stato Antony Blinken, accompagnandosi alla chitarra in un bar di Kiev. Ma quel brano classico di Neil Young è meno ottimista di quanto possa sembrare dal titolo. Composto nel 1989, mentre crollava il blocco comunista dominato dall'Unione sovietica e l'America vinceva la guerra fredda, quella canzone era soprattutto un'autocritica sui mali della società americana. Anche allora, all'apice del nostro prestigio mondiale, cantavamo «contro» noi stessi.

Trentacinque anni dopo la caduta del Muro di Berlino, «il mondo libero non sta ballando il rock», commenta il Washington Post. Lo spettacolo di Xi Jinping che letteralmente abbraccia Vladimir Putin — un'esibizione di affettività inusuale per lo ieratico leader cinese — vuole dare un'impressione di isolamento dell'Occidente. La lunga visita di Putin nella Repubblica Popolare ha cementato un Asse che non ha alcuna logica economica: l'interscambio fra la Cina e l'Occidente vale sei volte quello con la Russia. Tra quei due il collante è molto più forte dell'interesse materiale: l'avversione al «mondo libero» e l'obiettivo di accelerare il nostro declino, vero o presunto che sia.

L'Asse Xi-Putin ha molte contraddizioni e fragilità. Però bisogna constatare l'evidenza: una parte consistente del mondo simpatizza con loro, non foss'altro che per la comune ostilità verso di noi.

Vedi l'avanzata dell'influenza della Russia in Africa, che continua anche in queste settimane (e rende un po' tardive certe iniziative come il Piano Mattei). Il Niger è l'ultimo di una lunga serie di regimi golpisti che hanno deciso di cacciare i militari americani. Pur con tutti i problemi economici che si è creato con l'aggressione all'Ucraina, Putin riesce a estendere la sua influenza militare in Africa, un Paese dopo l'altro, grazie al Gruppo Wagner. La Francia è assediata da furori anti-coloniali addirittura planetari. Non bastano le sue ex-colonie africane che la odiano e la ripudiano, ora ci si mette perfino la Nuova Caledonia nel Pacifico, in rivolta violenta contro Parigi. Il fenomeno di rigetto dell'Occidente è mondiale. 

Aneddoto personale: in un recente viaggio a Porto Rico, territorio Usa ma non completamente equiparato agli altri 50 Stati dell'Unione, ho sentito che tra i giovani cresce la percentuale (pur minoritaria) che vorrebbe l'indipendenza totale. Contagiati dai dogmi dei campus universitari sul continente, non vedono che l'appartenenza al Commonwealth statunitense li ha salvati dal destino di Haiti o Cuba?

Ancora l'Occidente non sembra aver preso le misure del problema, di quanto sia urgente riprendere l'iniziativa nel Grande Sud per toglierla a Xi e Putin. La tragedia di Gaza ha aggravato gli umori anti-americani e anti-occidentali fra tanti Paesi del Sud, non solo islamici: in Asia, Africa, America Latina, molti ritrovano quello spirito «terzomondista» che negli anni Sessanta e Settanta li consegnò alla propaganda sovietica o maoista o castrista. Un balzo indietro nel passato. Come allora, l'Occidente balla il rock auto-flagellandosi ed esprimendo orrore per se stesso. Ieri Ernesto Galli della Loggia ha osservato giustamente che il problema comincia con noi stessi e con l'indottrinamento impartito ai nostri giovani. Gli psicoterapeuti insegnano che se non hai un briciolo di autostima, se giochi a umiliarti e distruggerti, è difficile che gli altri ti rispettino. Ciò che il mondo pensa di noi è anche il risultato di una lunga pratica di auto-demolizione, in cui ci siamo descritti come la civiltà più malefica della storia umana, denigrando due secoli di storia del progresso.

Il quadro però è meno disastroso di quanto appaia. Prendiamo l'abbraccio di Xi a Putin. Uno studioso russo che dirige a Berlino il Carnegie Russia Eurasia Center, Alexander Gabuev, ha descritto lo stupro della cultura e della storia del suo popolo che Putin compie in nome della sottomissione alla Cina. I russi improvvisamente comprano solo «made in China», fanno le vacanze in Cina, iscrivono i figli alla scuola di mandarino. È uno strappo per sradicare secoli di vocazione europea nel costume e nella cultura russa.

La rappresentazione del mondo che contrappone all'Occidente una «coalizione di tutti gli altri», sfuma non appena si osserva ciò che accade nelle vicinanze degli imperi autoritari. Non solo l'Ucraina, anche la società civile della Georgia è in lotta contro le imposizioni di Mosca. Non solo Taiwan, anche le Filippine si mobilitano per difendersi dall'espansionismo aggressivo di Xi Jinping.

In quanto ai nostri giovani: non gli rendiamo giustizia se li identifichiamo tutti con quei cortei pro-Hamas che trasudano odio contro l'Occidente. Qui in America l'altra faccia del mondo giovanile è una esplosione di creatività tecnologica e di imprenditorialità: la fascia di età sotto i 29 anni, baciata dalla piena occupazione, esprime un'alta percentuale di giovani chief executive di start-up. Sono giovani i talenti che stanno progettando le prossime tappe dell'intelligenza artificiale, un settore dove l'America ha riconquistato la leadership mondiale. Sarebbe ingeneroso definire questa parte delle giovani generazioni «maggioranza silenziosa». Non sono affatto silenziosi nei laboratori di ricerca e nei consigli d'amministrazione in cui lavorano. Tra l'altro una quota di loro sono talenti d'importazione, vengono anche da quel Grande Sud globale che «vota con i piedi»: emigra in America perché crede nella libertà d'impresa e nell'economia di mercato. La loro idea di Occidente, così diversa da quella di Putin-Xi, merita attenzione.

18 maggio 2024

© RIPRODUZIONE RISERVATA

< Back to 68k.news IT front page